giovedì 26 gennaio 2012

Potenza: l'amianto che non ti aspetti

Sono tre le "zone rosse" caratterizzate dalla presenza di capannoni abbandonati

L’amianto, meglio noto come fibra killer, ha fatto sinora migliaia di vittime e, per tali ragioni, può essere considerato un esempio di come le ragioni economiche e la salute non vadano necessariamente di pari passo. Il rischio amianto è un problema che non ha e non deve avere bandiere politiche, in quanto chiunque e senza preavviso può diventare il bersaglio di questo temibile male che non lascia speranze. In origine, questo minerale, vantava eccezionali caratteristiche fisiche a cominciare dalla refrattarietà al fuoco e, soprattutto, un basso costo. È per questo che nel giro di poco tempo lo si è ritrovato un po' dappertutto sottovalutando la sua pericolosità. A fare la parte del leone è stata l'edilizia, dove l'amianto veniva impiegato tanto come spray da applicare a elementi metallici o altro con funzioni isolanti, oppure impastandolo con altri materiali a cominciare dal cemento. In questo modo si aumentava la resistenza del cemento contenendo il peso e rendendo più facile realizzare elementi prefabbricati. In Italia il cemento-amianto è noto come Eternit, utilizzato soprattutto per la realizzazione di coperture di tetti.  In Italia dal 1992 (legge 257/1992) è proibita l'estrazione, l'importazione e la lavorazione dell'amianto. Di conseguenza, dal 1992 in poi non è possibile l’utilizzo di amianto nell'edilizia. Sfortunatamente, anche se la legge è in vigore da molti anni il pericolo non può dirsi superato ne è un esempio la Basilicata e la città di Potenza nello specifico. Da un censimento effettuato dall’autorevole quotidiano, Il Sole 24 Ore, sono stati evidenziati, in Basilicata, 199 edifici pubblici e 165 privati contaminati da amianto. In più sono stati ritrovati circa 10.800 metri cubi in due discariche abusive oltre ad essere individuati 400mila metri quadrati di coperture e oltre 600mila metri cubi di amianto friabile. Questo in tutta la regione ma, ci è stato segnalato da fonti attendibili, solo a Potenza ci sarebbero oltre 12mila metri quadrati di lastre di amianto. Si tratta di capannoni dismessi che ormai da anni versano in uno stato di abbandono facendo da cornice al panorama della città. Sono tre le zone di Potenza in cui è presente l’amianto. Nella prima zona siamo all’uscita di Potenza Ovest presso il raccordo stradale che porta allo svincolo direzione Pignola-Rifreddo, qui sulla sinistra giacciono i capannoni di una società fallita a metà degli anni ottanta. C’è chi lo ha definito il “Benvenuti a Potenza” nel senso di far capire sin da subito cosa c’è nella nostra città. Qui in un area di circa 2mila metri quadrati sarebbero presenti circa mille lastre di amianto. Spostandoci verso la seconda zona percorriamo Viale del Basento e troviamo i capannoni dell’ex Fabbrica Magneti Marelli, qui la situazione è ancora più complessa su di un’area di 10mila metri quadrati ben 5mila sono occupati da lastre di amianto, ma ancora non è finita spostandoci un po’ più avanti ci troviamo nel cuore della Cip Zoo, qui in una zona della città in cui, un tempo, si sognava la realizzazione del nuovo stadio, di un parco tematico  e di un’ulteriore sede universitaria, troviamo solo cumuli di macerie oltre che la presenza di ben sei capannoni dove sarebbero presenti oltre 6mila lastre di amianto. Si tratta di tre zone che, seppur leggermente periferiche, devono mantenere alto il livello di guardia perché la presenza di amianto a pochi passi dal centro abitato potrebbe provocare conseguenze ancor più gravi rispetto a quelle che si registrano oggi. Ma di chi sono le responsabilità e come potrebbe essere risolto il problema? Istintivamente, verrebbe da pensare che il modo migliore sia rimuovere gli elementi in amianto e stoccarli in posti sicuri, ma non è esattamente così. In molti casi rimuovere l'amianto può causare repentini e pericolosi  innalzamenti della quantità di fibre presenti nell'aria. Nel caso dei tetti di Eternit che si stanno degradando, per esempio, la soluzione più razionale è rivestire gli elementi con sostanze che intrappolino le fibre (materiali plastici) , operazione che viene definita di incapsulamento, e nell'applicare poi rivestimenti metallici (confinamento). Ma è evidente che le soluzioni vanno cercate caso per caso. Un oggettivo ostacolo al rispetto della legge è rappresentato dagli elevati costi di rimozione dell’amianto. Per questo, un piano di incentivi potrebbe rivelarsi ben più efficace della semplice repressione. Ma cosa potrebbe provocare l’amianto? Una delle malattie più frequenti è il mesotelioma, un gravissimo tumore che colpisce la pleura, il peritoneo (il sacco membranoso che racchiude l'intestino) e il pericardio. Se ne conoscono sia una forma benigna, sia una maligna particolarmente aggressiva, tanto che nelle casistiche la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi è pari soltanto al due per cento, un dato veramente preoccupante che dovrebbe far riflettere.                                                                                          
Nella stragrande maggioranza dei casi la forma maligna è causata esclusivamente da esposizione all'amianto. In più aumenta di 5 volte il rischio di carcinoma polmonare nei fumatori.
Inoltre ci sono stati casi in cui mogli di operai addetti a lavorazioni dell'amianto erano andate incontro al tumore solo dovendo maneggiare le tute del marito, mentre quest'ultimo non aveva avuto conseguenze. Nel caso del mesotelioma, insomma, non è possibile definire una soglia di rischio, ossia un livello di esposizione così ridotto da essere innocuo e, in ogni caso, la suscettibilità individuale conta e non poco. Insomma abbiamo potuto vedere in un breve quadro come la presenza di amianto può rappresentare un problema per la nostra salute. Molto spesso però la società come anche i media sottovalutano questi aspetti focalizzando la propria attenzione su episodi marginali, come ad esempio il ritrovamento di 4-5 lastre di amianto nei boschi fuori dai centri abitati, quando, in pratica, l’amianto ce lo abbiamo in casa. Occorrerebbe, quindi, un’adesione di tutti i cittadini alla bonifica di questi siti in modo tale da garantire un adeguato controllo sullo stato di conservazione dei manufatti in questione.

Articolo di Luca Santoro tratto dal settimanale Controsenso Basilicata del 12 Marzo 2011

mercoledì 11 gennaio 2012

Basilicata ed inquinamento: Lo strano "caso" del Tenente Di Bello

C’è chi lo ha definito l’eroe delle Due Sicilie, chi eroe del nostro tempo, chi un tenente onesto, noi potremmo definirlo un “uomo dal profondo senso civico”. Stiamo parlando del Tenente Giuseppe Di Bello che negli ultimi tempi molta attenzione sta suscitando nei confronti dell’opinione pubblica a causa di una sospensione dal servizio di Polizia notificatogli dall’ex Assessore Regionale all’Ambiente, Santochirico, per aver reso pubbliche delle analisi riguardanti lo stato di inquinamento di una delle principali dighe della regione, il Pertusillo. Il reato che gli è stato supposto è quello di rilevazione di segreti d’ufficio eppure l’articolo 1 della Convenzione di Aarhus (firmata il 25 giugno 1998 e ratificata in Italia con legge 108/2001) dice espressamente che: ”al fine di contribuire a proteggere il diritto di ciascuno, nelle generazioni presenti e future, a vivere in un ambiente consono ad assicurare la salute e il benessere,ogni parte garantisce il diritto di accesso alle informazioni,la partecipazione al processo decisionale e l’accesso alla giustizia in materia di ambiente”. Noi della Redazione lo abbiamo incontrato per capirne di più.

Tenente Di Bello, ci può raccontare la sua dis-avventura?

“E’ il 5 gennaio del 2010, quando alle ore 18.13 ricevo una fax proveniente dalla Regione Basilicata, composto da otto pagine contenenti analisi chimiche effettuate dall’A.R.P.A.B relative alle acque di alcuni invasi lucani destinati al consumo umano. I risultati di tali analisi mi insospettiscono ecco perché il giorno successivo, 6 gennaio 2010, nonostante fossi in ferie mi reco di persona a constatare la situazione. Il giorno successivo, 7 gennaio 2010, notifico una ipotesi di reato per violazione al Decreto Legislativo 2 Febbraio 2001, n 31 relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano. Beh anziché andare a verificare se quello che stavo dicendo fosse vero o falso il giorno 12 gennaio 2010 l’allora Assessore Regionale all’Ambiente, Santochirico, inoltra una denuncia e soli tre giorni dopo, il 15 gennaio 2010, è già avviata una indagine contro di me. Incredulo da quanto mi stava accadendo il giorno 21 gennaio 2010, ero nuovamente in ferie,  mi reco ancora una volta presso la diga del Pertusillo per prelevare un altro campione d’acqua e successivamente procedo con le contro analisi. È da premettere che quel giorno gli invasi erano pieni, per cui le sostanze presenti dovevano essere maggiormente diluite, eppure si riscontravano dei superamenti di agenti inquinanti biologici come  coliformi,  streptococchi fecali ed escherichia coli, oltre alla presenza di sostanze chimiche tossiche come il boro e il bario con possibili conseguenze dannose per la salute pubblica. Nonostante i risultati delle contro analisi fossero eclatanti solo sei mesi più tardi l’A.R.P.A.B effettua nuovamente delle analisi con gli invasi a meno di metà. Questo fa capire come l’indagine contro di me è stata celere, iniziata il 15 gennaio 2010 e conclusasi con la sospensione per due mesi il 25 febbraio 2010, mentre il controllo sulla qualità delle acque sono state fatte con estremo ritardo. A nessuno è venuto in mente di chiedersi se stavo dicendo la verità, anzi, mi hanno dato perfino del pazzo con manie di protagonismo. Il GIP Rosa La Rocca nella sentenza dichiara espressamente che il sottoscritto assume degli atteggiamenti psicologici ritenuti pericolosi nell’interesse della salute da salvaguardare. Beh se avessi avuto manie di protagonismo anziché fare le analisi a gennaio quando gli invasi sono stracolmi, avrei potuto farle ad agosto quando gli invasi sono a meno della metà con un conseguente aumento dei valori inquinanti. Facendole a gennaio io volevo sostanzialmente trasferire con moderazione, ma con serietà, la verità. Ad invasi pieni le analisi che noi abbiamo fatto su quelle acque ci raccontavano che noi avevamo ragione. Queste sono cose che necessariamente devono gridare allo scandalo”.

Ma quando è apparsa l’alga rossa nella diga del Pertusillo che tipo di motivazioni hanno dato le istituzioni?

“Quando è apparsa l’alga rossa l’ex direttore generale dell’ARPAB di nomina politica disse che era per effetto meteo climatico. Successivamente una professoressa universitaria di Roma, Patrizia Albertano, grande esperta di alghe, dalle pagine di un noto quotidiano, precisa che l’effetto meteo climatico era una sciocchezza e che se quelle acque erano destinate al consumo umano andava necessariamente informata la popolazione e che non farlo sarebbe stato da criminali”.

C’è qualcuno che si è mosso in suo favore?

“Si sono intervenuti con  delle interrogazioni i consiglieri Aurelio Pace, Francesco Mollica oltre che l’onorevole Elisabetta Zamparutti, ma alle interrogazioni fatte a mio favore, ad oggi, non c'è stata nessuna risposta”.

Alla luce di tutto quello che è successo, se potesse tornare indietro rifarebbe tutto?

“Assolutamente si, io ritengo importantissimo il rispetto dell’ambiente e delle persone che ci vivono. Io avevo lanciato l’allarme il 7 gennaio 2010,  avevano sei mesi di tempo, potevano intervenire per evitare che venisse portato a più gravi conseguenze l'inquinamento e, invece, hanno preferito dare ascolto all'ex assessore regionale all'ambiente e non valutare quello che io gli stavo dicendo. Noi dovremmo chiedere ad una società trasparente, democratica, quello che è un nostro sacrosanto diritto, che è quello alla salute che è sancito anche  dall'articolo 32 della Costituzione Italiana. Gli Enti locali dovrebbero garantire la trasparenza dei dati, la comprensibilità a tutti degli stessi, dovrebbero aprire pubblici dibattiti su temi quali ad esempio le estrazioni petrolifere o la presenza di aziende che lavorano nel settore dello smaltimento dei rifiuti pericolosi o di aziende ad alto rischio ambientale, perché la popolazione ha il diritto di intervenire sulla sostenibilità ambientale. Se poi, invece, avviene una reazione così spropositata come è accaduto con me allora vuol dire che c'è qualcosa che non va. Questo significa offendere la nostra intelligenza”.

Articolo di Luca Santoro tratto dal settimanale Controsenso Basilicata del 5 Marzo 2011